Lo yatagan di Nada Vujadinović

NZO-208x300Lo yatagan è una spada antica: piccola, veloce, quasi sempre estremamentre preziosa, come dimostrano gli esemplari giunti fino a noi. Era spesso indice della nobiltà di chi lo portava, ma frequente era il suo utilizzo decorativo visto che, per la sua bellezza, era più un simbolo che un’arma.
Lo yatagan che riunisce le storie montenegrine di Nada Vujadinović è un gioiello inestimabile. Scrive Milan Jovićević: “Novak Milosev ha ricevuto in dono dalla Russia una sciabola di grande valore con l’impugnatura d’argento e il fodero coperto di velluto azzurro guarnito di criniere d’oro e tempestato di 58 pietre preziose. Sulla lama dello yatagan è sottolineato il coraggio di Novak dal testo: che si batte lo uccido, chi cade lo risparmio”. Novak Milošek è il grado zero da cui la Vujadinović parte per raccontare una storia che ha insieme i tratti dell’epica e della cronaca più quotidiana: guardia del corpo di un parente del principe Nicola I, Novak è un guerriero che incarna i valori più alti della cultura montenegrina. L’inflessibilità del suo orgoglio e la fede per il suo paese lo porteranno alla storica battaglia di Fundine, in cui i turchi vennero messi in fuga; da solo, riportano le cronache, mozzò la testa a diciassette turchi e portò con sé la bandiera raccolta da un compagno morente. Per il valore dimostrato quel giorno, lo zar lo volle a San Pietroburgo, dove  nobili e soldati gli diedero in dono il prezioso yatagan.
I diamanti del fodero vennero in seguito trafugati dallo stesso sovrano di Montenegro, Nicola I; l’arma, come ricostruisce dolorosamente la scrittrice, perderà prima la punta, poi il posto che le era stato assegnato nei vari musei, fino a sparire del tutto, andando forse distrutta insieme ai documenti che l’accompagnavano.

Partendo da un oggetto, Nada Vujadinović ricostruisce così la storia della sua famiglia, italiana e montenegrina insieme, prima nel periodo felice ad Antivari, che nei suoi ricordi ha ‘tutto ciò che un bambino adora: animali, frutti da cogliere sull’albero, e il sole, il sole del Sud. È di fronte a Bari, bagnata dallo stesso mare, che porta a terra gli stessi odori su colline dove maturano olive e fichi dolcissimi” e poi nella via crucis italiana tra la Liguria, la Lombardia e il Veneto. Separata dalla guerra e dai passaporti, la famiglia Vujadinović muta, resiste e reinventa se stessa nell’arco degli anni, per affermare continuamente le proprie radici. In ogni racconto l’autrice declina insieme la pienezza dell’infanzia con la miseria della perdita di ogni beneficio e bontà, e i suoi ricordi sottolineano con ferocia ogni discriminazione patita durante la guerra, dal rifiuto di un bicchiere d’acqua agli scarponcini infangati con cui entrava in classe.
Tuttavia è il sentimento fortissimo di un’appartenenza ombelicale  a fare da base al testo: si preannuncia sempre un ritorno, anche se ogni viaggio al paese natio porta continuamente la Vujadinović a prendere coscienza di un’ulteriore perdita. Così quando a 26 anni si ritrova ad abitare nuovamente il paesaggio delle sue vecchie fotografie, ecco che i volti della sua giovinezza testimoniano la sconfitta del tempo. Sparsi nel mondo i vecchi conoscenti, riconvertita e irriconoscibile la casa in cui abitava, solo la sua vecchia bambinaia è la prova che tutto è esistito, e che ne è ancora possibile raccogliere l’eredità.

Pieno di fotografie e foto dei documenti ufficiali, il libro è l’ennesima dimostrazione della cura editoriale da parte di una casa editrice da anni attiva nel settore; già specializzata nelle sue scelte, Lo yatagan è un blow up ancora più dettagliato del panorama balcanico di cui si occupa la Zandonai. Il Montenegro, ‘prigione di pietra’, viene così raccontato con la grazia antica del bianco e nero e la limpidezza di una scrittura a tratti dolorosa, a tratti irriverente e salda come l’atteggiamento di una bambina nata e cresciuta da montenegrina. Ricorda la Vujadinović: “mio padre portava una divisa, era un pubblico ufficiale, o avrebbe dovuto esserlo, ma per lui la legge era un concetto astratto, solo le persone, con le loro vite più o meno travagliate, erano davvero concrete. Ripensando a tanti episodi della sua vita che mi sono stati raccontati, trovo che si adatti anche a lui la lapidaria descrizione che un conte russo diede dei montenegrini: «Vivono in queste montagne degli uomini slavi, chiamati montenegrini, sono di religione ortodossa, non obbediscono a niente e a nessuno»”.

Nada Vujadinović, “Lo yatagan”, pp. 129, €12,50, Zandonai, 2013
Giudizio: 4/5

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